A Londra il ristorante con pietanze in stampante 3D, presto anche a Roma
A Londra è stato aperto il primo ristorante pop up in 3D: FoodInk in cui tutto, dal cibo, ai bicchieri, le posate, i piatti e i tavoli, è realizzato con le stampanti 3D.
La cena hi-tech è stata ideata dai master chef Joel Castanye e Mateu Blanche, ed è stata definita “un’esperienza gourmet unica… dove la cucina incontra l’arte, la filosofia e le tecnologie del futuro”. Il piano dell’azienda è di espandere i propri ristoranti 3D da Londra in altre città del mondo, a cominciare dall’Italia, dove il locale itinerante dovrebbe essere a ottobre a Roma e poi a Torino.
Le pietanze sono state servite nel locale londinese e sono state il risultato di un mix fra ingredienti classici e prodotti della cucina molecolare. L’innovativo menù è stato proposto solo per tre giorni e solo a una decina di persone, le quali hanno potuto assistere all’evento pagando 264 euro a testa di nove portate preparate in diretta con una stampante speciale realizzata dalla compagnia byFlow e caricata con ingredienti “freschi”, come verdure, carni, farine, ecc. Il dispositivo amalgama i prodotti e li serve nel piatto con forme difficilmente riproducibili da un essere umano.
“La trovo un’iniziativa molto interessante. Avevo già sentito parlare di stampanti 3D per il settore food, ed è incredibile che siano riusciti ad aprire un intero ristorante incentrato su questo nuovo format. Ovviamente è una scelta più che giusta, perché la novità attrae sempre, bisognerà però aspettare per capire quale sarà la risposta del pubblico, anche a lungo termine. Ma come la nouvelle cuisine e dopo di questa la cucina molecolare, anche questa tecnica “alle stampanti”, invece che hai fornelli, può dare spunti positivi e interessanti al settore della ristorazione”, ha commentato lo chef Fabio Tacchella, consigliere della Federazione Italiana Cuochi.
“Le possibilità di sviluppo di questo format sono infinite, l’importante è che non ci siano tentativi di stravolgere tradizioni ben radicate, a partire da quella italiana. Non sarebbe corretto chiamare, ad esempio, Amatriciana un piatto realizzato con prodotti differenti da quelli tradizionali, solo perché sono più adatti alle stampanti. Bisogna sempre stare molto attenti che queste innovazioni non si scontrino con le tradizioni. D’altra parte però noi cuochi potremo attingere da queste tecnologie, servendocene per esaltare i nostri prodotti e migliorare i nostri piatti, sia nell’estetica che nel gusto. Dopotutto è stato così anche per la nouvelle cuisine: prima poco considerata, poi conosciuta e osannata in tutto il mondo; ci ha insegnato tecniche che hanno contribuito a portare la cucina italiana al top. Potrebbe essere lo stesso anche con questo nuovo format”, ha concluso Tacchella.