Agcom ipotizza una tassa per WhatsApp e le app di messaggistica
L’Agcom, il Garante per le Comunicazioni ha svolto un’indagine sui “Servizi di comunicazione elettronica” – relatore Antonio Preto – dove emerge che le applicazioni di messaggistica istantanea quali WhatsApp, Telegram, Messenger, Viber, ecc, dovrebbero pagare una tassa per l’uso dei beni altrui.
“L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni pubblica oggi i risultati dell’Indagine conoscitiva concernente lo sviluppo delle piattaforme digitali e dei servizi di comunicazioni elettronica. Al centro dello studio, i cosiddetti consumer communications services, altrimenti definiti “app di comunicazione sociale”, le applicazioni che consentono lo scambio di contenuti vocali, messaggi, foto e video fra due o più utenti, per lo più utilizzate da device mobili, quali ad esempio WhatsApp, Indoona, iMessage, Facebook Messenger, Skype”, scrive l’Agcom nel comunicato ufficiale.
“Lo studio di AGCOM si inquadra in un contesto in cui, nel corso degli ultimi anni, l’ampia diffusione di servizi di accesso a banda larga in postazione fissa e mobile ha stimolato lo sviluppo di una serie di nuovi servizi e di apparati terminali evoluti, accrescendo la domanda di accesso ad Internet degli utenti […] L’indagine ricostruisce innanzitutto il quadro giuridico e regolamentare di riferimento dei consumer communications services, soffermandosi sull’attualità della definizione di Electronic Communications Services (ECS) […] L’indagine rivela l’opportunità di considerare in ambito europeo una nuova formulazione di servizi ECS, strumentale all’eventuale adozione di un level playing field fra i diversi attori in campo, e descrive le principali misure potenzialmente applicabili, come scaturite dalla fotografia del dibattito attualmente in corso”, prosegue il comunicato.
Per compensare, il Garante sta ipotizzando di permettere loro di attingere al credito telefonico degli italiani, solo in cambio di nuovi servizi a valore aggiunto, anche se il commissario Preto ha chiarito, su questo specifico punto, che l’Agcom ci penserà comunque mille volte prima di prendere una simile decisione. E’ anche vero che queste applicazioni solo in apparenza sono gratuite, dato che hanno un modello di business monitorano ogni azione dell’utente ricavandone un identikit preciso in termini di gusti ai fini commerciali e di marketing.
“L’indagine non impone, né avrebbe potuto imporre data la natura conoscitiva della medesima,alcuna misura specifica in capo agli operatori OTT, come erroneamente anticipato da alcuni organi di stampa, tantomeno oneri economici in capo a soggetti attualmente estranei all’attività regolamentare dell’AGCOM. L’indagine rappresentaun utile strumento di approfondimento e quindi unariflessione aperta su un tema attualmente al centro del dibattito europeo”, conclude l’Agcom.